L’incertezza è finita. Le nubi grigie che hanno avvolto il clima politico e sociale del Regno Unito negli ultimi tre anni si sono miracolosamente dissipate. Adesso è tutto chiaro.
Il Regno Unito ha votato prepotentemente per Boris Johnson, consegnandogli una maggioranza assoluta e un potere politico che non si vedeva dai tempi della Thatcher. A Westminster i Tories avranno una maggioranza di oltre quaranta seggi, sufficiente per approvare praticamente qualunque proposta senza preoccuparsi di franchi tiratori e senza bisogno di complicate alleanze. E non ci sono dubbi su quale sarà la prima legge ad essere approvata, già nei prossimi giorni.
Queste elezioni erano il vero secondo referendum sulla Brexit. Lo ha capito bene Boris Johnson, che avrà mille difetti ma al quale non si può negare un vero talento nella comunicazione. Il suo programma è stato basato su un punto solo: “Get Brexit done”, ripetuto fino alla nausea. Dopo tre anni nei quali il paese e il dibattito politico sono stati incagliati su questa paroletta di sei lettere, il messaggio ha colpito nel segno. Ai britannici Johnson ha offerto una via d’uscita, una “get out of jail” card. Datemi la maggioranza e saremo fuori nel giro di due mesi. Punto. È per questo che tanti elettori Labour, frustrati e stanchi, hanno deciso che questa volta era meglio dare il voto ai conservatori.
Corbyn ha fallito miseramente. Il tentativo di spostare il dibattito su altri temi (NHS, povertà, istruzione…) non ha funzionato. La mancanza di una posizione chiara sulla Brexit ha irritato i votanti, quasi più delle sue proposte politiche iper-socialiste, idee che non hanno convinto neanche quelle fasce della popolazione che teoricamente ne avrebbero beneficiato. Una disfatta dalla quale il partito laburista potrà riprendersi solo con un enorme sforzo e soprattutto con un nuovo leader.
Con il voto di ieri termina l’ultima illusione dei Remainers. Non c’è più nessuna speranza di evitare la Brexit. Prendiamone atto e andiamo avanti. Per gli italiani che vivono in UK significa registrarsi per il Settled Status prima possibile o meglio ancora prendere la cittadinanza britannica per sentirsi veramente a casa. Per chi vorrà trasferirsi qui a partire dal 1 gennaio 2021, quando termina il periodo di transizione, significa mettere in conto che si verrà ammessi solo se in possesso di certi requisiti e bisognerà pagare per anni per avere diritto a assistenza sanitaria e altri benefits. Restrizioni destinate a cambiare radicalmente il profilo dell’emigrazione italiana ed europea nel paese.
In futuro, il 12 dicembre 2019 sarà ricordato come la vera data della Brexit, più di quella del referendum, il 23 giugno 2016. Solo adesso la decisione del popolo britannico è diventata, per usare la parole di Johnson, “inconfutabile, irresistibile e indiscutibile”.
Forse non è un caso che questo risultato epocale si sia verificato a pochi giorni dalla fine del decennio. La storia ama queste coincidenze. Gli anni ’10 a Londra sono stati caratterizzati da una parabola. Prima gli anni della crescita sfrenata, riprendendo rapidamente quello che si era perso con la crisi finanziaria del 2008-09. Poi, dopo il referendum, anni di ombra e di crisi, sia economica che di identità.
Quella parabola si chiude oggi per lasciare spazio a una nuova era. Gli anni ’20 si apriranno con il Regno Unito fuori dall’Europa e deciso a ritagliarsi un ruolo inedito da protagonista in ambito mondiale, più simile a USA e Australia che alle vicine Francia e Irlanda. Una sfida che per certi versi può affascinare ma che da europei ci lascia con un senso di occasione perduta e un sapore amaro in bocca.