L’Europeo in Francia è da poco terminato per gli Azzurri, usciti sconfitti a testa altissima dai quarti di finale contro l’avversaria di sempre: la Germania di Joachim Löw. Prima sconfitta per l’Italia contro i tedeschi durante la fase finale di una manifestazione internazionale, prima volta nel nuovo millennio in cui gli Azzurri non arrivano in finale dopo l’approdo ai quarti. È giunto il momento delle analisi e dei giudizi su questa campagna transalpina. Una campagna orgogliosamente da applausi.
PREGIUDIZIO INIZIALE. Alzi la mano chi ha avuto la lucidità di aspettare l’Europeo prima di giudicare. L’Italia di Antonio Conte si è presentata in terra francese dopo un girone di qualificazione che non l’ha sicuramente presentata come una delle favorite per la manifestazione estiva. Poche le occasioni di avere il gruppo al completo e troppi i problemi con le società, spesso legati a singoli atleti. Molte anche le critiche: da quella al numero 10 affidato a Thiago Motta a quella sulla non convocazione di Leonardo Pavoletti. Se la prima era insensata poiché l’italo-brasiliano vanta una carriera internazionale che neanche tutti gli Azzurri insieme possono decantare, la seconda era invece più fondata. L’attaccante livornese, reduce da una grande stagione personale al Genoa, aveva accumulato 14 goal in 25 partite divenendo il miglior bomber italiano in tutte le massime divisioni europee.
ITALIA COME UN DIESEL. Pronti, via e l’Italia decolla dal punto di vista dei risultati ma non del gioco. Schierati in campo in maniera tatticamente perfetta e affamati come il loro CT, gli Azzurri conquistano gli ottavi con una giornata d’anticipo grazie ad una difesa impenetrabile ed alle giocate dei singoli: contro il favorito Belgio grazie ad un lancio con il contagiri da parte di Bonucci per Giaccherini, contro la Svezia grazie ad una torre di Zaza con successiva fuga palla al piede di Éder. Poi arriva il momento degli ottavi, in cui gli Azzurri sfoderano uno dei primi tempi migliori della storia della Nazionale contro i campioni in carica della Spagna, vincenti in finale proprio contro l’Italia a Kiev nel 2012. Una partita dominata che ha preoccupato e non poco la Germania, successiva avversaria ai quarti di finale.
ASSENZE PESANTI. Non è un caso che i ragazzi di Antonio Conte si siano amalgamati dopo giorni interi di preparazione quotidiana, proprio come una squadra di club. Caratteristica, tra l’altro, che è stata decantata a livello mediatico su più fronti. L’allenatore leccese ha saputo tirare fuori un quid pluris da una rosa che probabilmente è stata la meno fornita tecnicamente del nuovo millennio. Ha saputo esaltare anche giocatori che in campionato hanno stentato, dovendo affrontare assenze pesanti come quelle di Marchisio e Verratti prima dell’Europeo, di De Rossi, Candreva e dello squalificato Thiago Motta durante la manifestazione. Una spina dorsale assente che avrebbe abbattuto quasi chiunque, ma non lui.
UNICO ERRORE DI CONTE. Una partita quasi perfetta contro i tedeschi, che nei giorni scorsi sui giornali nazionali festeggiavano preventivamente. Grande possesso palla ma due sole nitide occasioni da goal, in rapida successione: la prima trasformata in rete da Özil, la seconda sventata prodigiosamente da Buffon su deviazione sotto porta di un Chiellini in marcatura su Gómez. Poi il pareggio di Bonucci ha riacceso gli Azzurri, che nel finale hanno sfiorato il colpaccio. Infine, una delle più “drammatiche” serie dei calci di rigore degli ultimi anni, il tutto sotto il settore italiano. Quando tutto sembrava perduto, Schweinsteiger ha fallito il match point per i tedeschi, facendo sognare tutto lo Stivale. Tuttavia, un successivo errore di Darmian ad oltranza ed una non eccezionale reattività di Buffon sono state fatali per l’Italia. Antonio Conte ha forse pagato caro l’unico errore di questo Europeo: quello di far entrare Zaza solamente per fargli calciare il rigore, poi in seguito sbagliato, senza permettergli di scaldarsi e di sbollire la tensione direttamente sul campo per qualche minuto. Un errore forse fatale, ma che sicuramente non mette in ombra tutto il cammino della squadra e la gestione del tecnico.
GIÙ LE MANI DA PELLÈ. Peccato per l’errore di Graziano Pellè durante i calci di rigore. Molti in queste ore gli contestano il gesto di fronte a Neuer, quello con cui ha simulato il “cucchiaio” prima di sbagliare malamente. Facile criticare quando non ci si trova davanti ad un “mostro” come l’estremo difensore di Gelsenkirchen, dotato di una reattività disumana in occasione dei penalty. Ognuno scarica la tensione come meglio preferisce, magari cercando di giocare anche sporco e rischiando la brutta figura. «Siccome Neuer si muoveva molto gli ho detto che gli avrei fatto lo scavetto, così speravo che stesse fermo», ha dichiarato a fine partita. Tuttavia, criticare un attaccante come lui dopo un Europeo di questo livello rimane quantomeno ingeneroso. «Sono arrivato qui che non ero nessuno e me ne vado via che sono nessuno. Se avessi segnato quel rigore, però, per tutti sarei diventato un fenomeno». Questa sua ultima dichiarazione dice tutto. D’altronde, solo chi si assume la responsabilità di battere un calcio di rigore rischia di sbagliarlo.
MALE DARMIAN, GIACCHERINI EROICO. Dopo una stagione di alto livello al Bologna chi avrebbe mai pronosticato un’Europeo di questa portata per Emanuele Giaccherini? L’ex esterno del Sunderland, pupillo di Conte, è riuscito nell’impresa di riesumare il ruolo e le giocate tipiche di Mauro German Camoranesi, ex bandiera della Juve e campione del mondo in Germania nel 2006. Benissimo anche il secondo oriundo della selezione, l’italo-brasiliano Éder. L’attaccante di origini vicentine si è dimostrato tatticamente essenziale nello scacchiere contiano, regalando anche la qualificazione matematica agli ottavi contro la Svezia, forse evitabile con il senno del poi visto il tabellone formatosi. Male invece Matteo Darmian: ci si aspettava ben altro da parte sua dopo una stagione da titolare al Manchester United ed un girone di qualificazione agli Europei di buon livello.
RIMPIANTI FUTURI. Rimane il grande rimpianto di non riuscire a veder concretizzato questo percorso ai prossimi Mondiali, in programma nel 2018 in Russia. Forse sarebbe bastata una maggiore vicinanza da parte sia della Federazione sia dei club, che da anni ormai hanno perso lo spirito patriottico verso una squadra che vedono solamente come rischio per l’incolumità dei propri atleti. Un vero peccato se si pensa alle premesse con cui si era cominciato questo ciclo due anni fa. Specie dopo il grandissimo entusiasmo che l’allenatore leccese è riuscito a trasmettere agli appassionati e non, tutti uniti per tifare la prima nazionale veramente “operaia” del nuovo millennio. Se comprensibilmente Conte cercava un biglietto da visita internazionale in vista della sua prossima avventura al Chelsea, si può affermare che ci sia riuscito alla grande.
Resta solo lo spazio per gli applausi, quelli veri. Verso Conte e verso questa rosa di giocatori che sì, non verrà ricordata per il successo sul campo. Ma che verrà sicuramente ricordata da tutti noi come una squadra operaia capace di mettere paura all’élite europea.
Matteo Calautti
Londra, 03/07/2016
Foto: Azzurri durante i calci di rigore (fonte: pagina Facebook ufficiale della Nazionale Italiana di Calcio)