“Sono onorato della fiducia che i londinesi mi hanno accordato nel governo della città più bella del mondo”. È il commento del rieletto sindaco di Londra, Sadiq Khan (nella foto sopra), che incassa la rinnovata fiducia dei londinesi nel giorno più amaro del Partito Laburista inglese sotto la leadership di Sir Keir Starmer.
Londra, infatti, insieme ai grandi comuni inglesi come Manchester e la nuova aggregazione comunale del West Yorkshire, resiste alla slavina conservatrice che fa scorpacciata di municipalità, comuni ed elezioni suppletive, nel primo importante test per i partiti nel post elezioni 2019.
In particolare, il primo cittadino londinese vince incassando il 55.2% dei voti popolari, spuntandola grazie alle seconde preferenze, non avendo ottenuto il 50% dei voti nel primo round finito testa a testa con il candidato Conservatore Shaun Bailey.
Ma il partito di Boris Johnson fa bene in tutta l’Inghilterra, sottraendo il controllo degli enti locali tradizionalmente roccaforti del partito laburista. Fa rumore il controllo dei Tory dello scranno parlamentare di Hartlepool e la vittoria della municipalità di Durham County, in mano ai laburisti rispettivamente dal 1974 e dal 1925.
Smaltita la sbornia del primo giorno favorevole di conteggi elettorali, che si è articolato in più di settantadue ore di scrutini, il bilancio positivo per Johnson conta anche qualche grana.
In primis il partito laburista vince agevolmente in Galles con Mark Drakeford in procinto di essere riconfermato primo ministro.
Poi c’è la Scozia e l’ombra della scissione dalla Gran Bretagna. Il partito di Nicola Sturgeon, l’SNP, formazione nazionalista e di tradizione social-democratica, vince la quarta elezione nazionale di fila guadagnano un seggio in più rispetto le elezioni del 2016.
Un esito elettorale favorevole che la Sturgeon ha salutato annunciando un nuovo referendum per l’indipendenza. Il portavoce della prima ministra, infatti, ha fatto sapere che una nuova consultazione per il divorzio da Londra “è solo questione di tempo”.
Furiosa la reazione di Johnson che definisce “irresponsabile e incosciente” la prospettiva di un nuovo referendum che “smantellerebbe il Paese”. Due posizioni in antitesi che rischiano di innescare una crisi istituzionale considerando che spetta proprio al governo di Londra concedere la consultazione.
Un eventuale divorzio delle due nazioni aprirebbe la strada dell’adesione della Scozia all’Unione europea. Non a caso la Sturgeon, criticando la chiusura di Londra, ha fatto sapere che “non c’è alcuna giustificazione per Boris Johnson né altri di fermare il diritto del popolo scozzese di scegliere il proprio futuro”.
Non sembrano, quindi, per nulla esauriti gli strascichi della Brexit che domina ancora nello sfondo della politica britannica. Ma non hanno, tuttavia, inciso sui risultati della presente competizione. Queste elezioni e gli elettori britannici, da Londra ad Edimburgo, hanno premiato tutti i leader in campo e le misure in campo contro la pandemia.