Complimenti a Giorgia Meloni. Ha vinto, anzi stravinto, le elezioni italiane e adesso avrà il compito di governare il paese. Una prospettiva esaltante per chi l’ha votata, terrificante per chi le ha remato contro. Mentre una parte significativa della popolazione, quella che ha ignorato la chiamata alle urne, semplicemente se ne frega o non sa cosa pensare.
Quella della coalizione di centrodestra è una vittoria netta, che va attribuita interamente alla leader di Fratelli d’Italia. Basta guardare al risultato di Lega e Forza Italia per capire quanto poco consenso raccolgano oggi le due forze che negli ultimi decenni hanno assorbito le preferenze degli elettori di centro destra. Con il voto di ieri il popolo italiano non si è affidato piú a Berlusconi o a Salvini, ormai ridotti a parodie di se stessi, ma a una donna relativamente giovane (45 anni), determinata, dalle idee chiare e dall’indubbio talento comunicativo.
Il merito principale di Giorgia Meloni? Secondo l’interpretazione piú semplice, quello di essere stata sempre all’opposizione, senza sporcarsi la mani con i governanti di turno, siano essi diessini, populisti o tecnocrati. Una posizione ideale, che permette di puntare il dito contro i (tanti) problemi del paese, promettere soluzioni, e proporsi come l’unica alternativa valida a chi è insoddisfatto. C’è del vero, ma sarebbe sbagliato pensare che il popolo italiano si sia affidato alla Meloni solo per questo. Significherebbe sottostimarne il carisma e l’acume politico, qualcosa che manca dall’altra parte della barricata.
Oltre che una vittoria della Meloni, queste elezioni certificano la sconfitta del centro sinistra e di Enrico Letta su tutti. Un non-leader, incapace di suscitare emozioni (o almeno interesse) nell’elettorato, privo di una qualsiasi visione su cosa dovrebbe fare il paese.
Vent’anni fa il PD chiedeva il voto per fermare Berlusconi, poi lo ha chiesto per arginare Salvini, e stavolta per evitare la Meloni. Ma votare “contro” non è una strategia. Un partito progressista dovrebbe essere un semaforo verde, non rosso, e offrire una prospettiva chiara in termini di sviluppo e di valori. Non ha aiutato la scelta di correre da soli, per quanto comprensibile. Se si fosse presentato insieme ai 5 Stelle e a Renzi/Calenda avrebbe avuto la maggioranza, anche se poi sarebbe stato impossibile governare. Per il PD si è trattato di un suicidio annunciato, e vedremo ora se e come il partito riuscirà a ripartire, con un nuovo leader, visto che Letta ha già preparato le valigie per tornare a fare il docente in Francia.
Resiste ancora il movimento 5 Stelle, terza forza politica del paese. In molti adorano Conte, il reddito di cittadinanza, e il sogno populista di un governo del popolo, ma a me sembra che la visione dei 5 Stelle sia sempre piú diluita, come un vecchio film in bianco e nero. Con queste votazioni per l’Italia si chiude un ciclo e se ne apre un altro, nel quale il movimento dei grillini è destinato ad avere un ruolo marginale.
Che succederà adesso? The proof is in the pudding, dicono gli inglesi. Il valore della Meloni si vedrà già a partire dai prossimi giorni, quando dovrà discutere con Mattarella le condizioni per formare il nuovo governo e i nomi di ministri. Ovvio aspettarsi che il Presidente porrà le sue condizioni, soprattutto in ministeri chiave come quello dell’Economia e ci sarà da negoziare con Salvini e Berlusconi. Se l’alleanza funzionerà, Meloni potrà fare tanto, visto che il centro destra controllerà sia Camera che Senato.
L’Italia diventerà un paese neo-fascista? Improbabile. Ma certamente il vento cambia e l’Italia vira seriamente a destra. Aspettiamoci meno tasse, una stretta sull’immigrazione, qualche marcia indietro sui diritti civili, e una politica estera piú nazionalista e meno allineata con Bruxelles. Fortunatamente l’Italexit non è in agenda, ma è lecito aspettarsi che l’Italia di Meloni, piú che all’Ungheria di Orban, punti a diventare piú simile al Regno Unito dei Tories.