Poco più di dieci giorni e la Gran Bretagna tornerà al voto, giovedì 8 giugno il giorno fissato per andare alle urne. Votazioni anticipate, chiamate snap election, che hanno messo fine all’attuale legislatura che si sarebbe dovuta naturalmente concludere nel 2020. Il Governo uscente, qualunque sia lo schieramento vincente, sarà quello che verrà ricordato nella storia per avere negoziato il divorzio dall’Unione Europea, decisone che la Gran Bretagna ha preso nel referendum dello scorso giugno.
Prima che la campagna elettorale venisse sospesa dopo il triste attacco terroristico di Manchester, i partiti hanno presentato il loro “manifesto”, ossia il programma di governo qualora escano vincitori dalle urne. Denominatore comune delle tre maggiori forze in campo è la volonta di garantire i diritti dei cittadini provenienti da paesi Ue già presenti nel Regno Unito e viceversa. Si tratta di oltre 3 milioni di persone che lavorano in UK, mentre oltre 1 milione di Britannici sono sparsi nel vecchio continente.
L’attuale premier Theresa May (al centro nella foto in alto) con il Partito Conservatore cerca una riconferma, evidenziando nel suo programma di governo un sostanziale abbassamento del flusso migratorio, portandolo a 100mila unità rispetto alle attuali 270mila. I Conservatori sono pronti ad abbandonare il mercato unico e la libera circolazione delle persone, con pieno controllo dei confini. Da aggiungere un abbassamento delle tasse sulle imprese per attrarre investitori una volta fuori dalla Ue. I Tories vogliono inoltre introdurre il costo di 2mila sterline annue per le nuove assunzioni di personale altamente qualificato se non possessori di passaporto britannico, il tutto per incoraggiare l’assunzione di personale locale.
Il Partito Laburista con il suo leader Jeremy Corbyn (a sinistra nella foto in alto) punta invece alla nazionalizzazione delle ferrovie, della rete idrica e del sistema postale. Propone di aumentare il salario minimo a 10 Sterline l’ora a partire dal 2020, 4 giorni feriali in più all’anno e un aumento della tassazione per i redditi oltre le 80mila sterline. Sulla vicenda Brexit vogliono mantenere l’accesso al mercato unico senza se e senza ma. Previsto l’aumento delle tasse sulle imprese.
I Liberal-Democratici invece, con il loro leader Tim Farron (a destra nella foto in alto), sono gli unici che parlano apertamente di Europa. Propongono un secondo referendum sui termini d’uscita dall’Unione Europea, eventualmente da rifiutare se non graditi all’elettorato. Vogliono mantenere ad ogni costo l’accesso al mercato unico e alla libera circolazione dei cittadini nei confini Ue, e riuscire a mantenere la City di Londra come centro finanziario di riferimento europeo (e mondiale). Propongono inoltre l’abbassamneto del diritto di voto a 16 anni.
Nei diversi sondaggi appare visibilmente in testa il Partito Conservatore che dovrebbe riconfermarsi, stando ai numeri, con una percentuale che va ben oltre il 40%. Segue il Partito Laburista con una media del 30%, mentre i Liberal-Democratici stanno intorno al 10%. Bisognerà fare i conti poi con lo Scottish National Party di Nicola Sturgeon, che in Scozia non sembra davvero avere rivali, e che avrà una fortissima influenza nella composizione del prossimo parlamento se dovesse riconfermare gli oltre 50 seggi su 650 disponibili che ottenne nelle ultime votazioni del 2015.
Tutto questo lo sapremo il 9 giugno, quando le urne avranno espresso chi avrà ottenuto il numero magico di 326 seggi, maggioranza necessaria per poter formare il nuovo governo tale da evitare il temuto hung parliament, situazione in cui nessuno ha la maggioranza. In questo caso bisognerà formare una coalizione per arrivarci, come fecero Conservatori e Lib-Dems nel 2010.
Una certezza sola all’orizzonte: chi sarà il nuovo Premier fra May, Corbyn o Fallon, sarà automaticamente il negoziatore della Brexit, la fine del matrimonio fra Londra e Bruxelles che scadrà, salvo improbabili proroghe, il 29 marzo 2019.