De Gregori a Londra, un viaggio in musica dal Titanic a Elvis Presley

All'02 Shepherd's Bush il cantautore romano ha proposto il meglio del suo repertorio nel primo concerto londinese della sua carriera

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“È la prima volta che suoniamo a Londra. Siamo tutti gasati” esordisce Francesco De Gregori salendo sul palco dell’O2 Empire Shepherd’s Bush, per quello che è, sorprendentemente, il primo concerto londinese della sua lunga carriera.

“Questa è musica italiana!” afferma, prima di partire con un rock & roll che di italiano in effetti ha ben poco. Ma è solo un modo per scaldare la band (composta da ben dieci elementi, tra i quali una sezione fiati, un violinista e altri tre chitarristi). Non ci sono equivoci sulla serata, e allora parte subito “Viva l’Italia”, che tocca le corde giuste di un pubblico composto quasi interamente da italiani. Si canta tutti in coro. Qualcuno appoggia una bandiera tricolore sulla balconata del teatro.

De Gregori canta le canzoni del suo repertorio alternando i suoi successi più noti (“Generale”, “Caterina”, “La leva calcistica della classe ’68”) con brani meno conosciuti (“Il panorama di Betlemme”, “La testa nel secchio”, “Un guanto”).  Gli arrangiamenti sono quelli del nuovo disco “Vivavoce”.  Il mood prevalente è quello di un rock-blues classico – vengono in mente i Dire Straits di Mark Knopfler – ma non mancano sonorità jazz (“Natale”) e a volte quasi balcaniche (come nella versione finale di “Buonanotte Fiorellino”)

Vestito con una giacca da smoking, camicia zebrata, cappello e occhiali scuri, De Gregori prova un po’ a fare la rockstar ma è più a suo agio quando si appoggia semplicemente allo sgabello, chitarra alla mano, e suona la sua armonica a bocca. La sua voce è forte e chiara. I suoi testi suonano incisivi e poetici come sempre.  Le sue canzoni raccontano storie di amicizia, di amori difficili, di guerre.  Un tema ricorrente è quello del viaggio, della partenza, da “Titanic” (“per noi ragazzi di terza classe – che per non morire si va in America”) a “MayDay” (“Devi cambiare indirizzo e telefono, devi cambiare città – e non aver paura di non farti più trovare”).

De Gregori interrompe il flusso delle canzoni solo una volta per dire, con intonazione perfetta “I want to thank you profusely and profoundly”. Si intuisce il suo desiderio di conquistare anche un pubblico non italiano (ce ne aveva parlato in questa intervista prima del concerto) e forse anche il sogno di essere una rockstar internazionale e non “soltanto” un grande artista di musica italiana.  Quando si rende conto di avere cantato, in terra inglese, la versione in italiano di “The Future” di Leonard Cohen, sembra quasi avere un momento di imbarazzo.

Un improvvisazione della band a ritmo di dixieland offre la giusta introduzione a “Titanic”(“E con l’orchestra che ci accompagna – con questi nuovi ritmi americani – saluteremo la Gran Bretagna col bicchiere tra le mani”), seguita dalla dolcissima “Buonanotte Fiorellino” e da “Vai in Africa Celestino!”

E’ il momento dei bis. De Gregori inizia con “Alice”, accompagnato soltanto dalle tre chitarre; prosegue con “La donna cannone”, a lungo chiesta dal pubblico, eseguita senza ritmica, con un delicato accompagnamento di piano e violino; per arrivare finalmente a “Rimmel”, suonata con tutta la band e cantata in coro da tutto il pubblico.

Potrebbe finire qui, ma De Gregori ha ancora voglia di suonare e allora si lancia in una versione stravolta di “Buonanotte Fiorellino” ri-arrangiata in 4/4 (invece che a tempo di valzer) e cantata alla maniera del primo Bob Dylan, per poi regalarci, chitarra alla mano, un’ultima, inattesa, chicca: la bellissima “I Can’t Help Falling In Love With You” di Elvis Presley.

 

Francesco Ragni

 

foto: Luca Viola; www.lucaviolaphoto.com

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