Keith Jarrett a Londra, una serata di “musica miracolosa”

Il pianista americano ha conquistato il pubblico della Royal Festival Hall con una performance eccezionale

Keith Jarrett a Londra, una serata di “musica miracolosa”

 

E così… questo è un pianoforte? (“So.. this is a piano?”). Sono queste le prime parole di Keith Jarrett appena salito sul palco della Royal Festival Hall di Londra, guardando lo Steinway grand coda che lo sta aspettando per l’atteso concerto piano solo nell’ambito del London Jazz Festival 2015. Lo “stupore” di Jarrett dura solo pochi secondi, il tempo di sedersi al piano e iniziare una performance di livello straordinario, persino per un artista come lui. Un concerto di “musica miracolosa”, come la definirà il suo manager.

Jarrett sembra voler mettere tutto già nel primo brano: 20 minuti che iniziano in modo free, con rapidi frasi cromatiche prive di tonalità e di apparente ordine che a un certo punto, quasi inaspettatamente, cambiano direzione. Dal caos iniziale emerge una tonalità in minore, Jarrett rallenta il ritmo, e suona una sequenza di accordi suggestivi, sui quali si sviluppano frammenti di una melodia dolce e riflessiva. Minuti di assoluta poesia, prima di tornare all’atonalità iniziale per chiudere il brano.

“Sono riuscito a includervi tutti i pianeti?” (“Did I manage to include all the planets?”) chiede Jarrett finito il brano, come a sottolineare lo straordinario concentrato di armonie racchiuso nella sua improvvisazione.  Da qui in poi la strada è in discesa: il resto del primo set va via con altri quattro brani (tra i quali un blues, un americana, e una ballad), inframezzati da qualche parola rivolta al pubblico, come quando confessa di essere andato vicinissimo a cancellare il concerto per un fastidioso mal di schiena, decidendo solo all’ultimo minuto di suonare. “È la musica che mi guarisce” dice sorridendo all’audience, e anche questo sembra un piccolo miracolo.

La seconda parte del concerto è, se possibile, ancora piú bella della prima. Anche in questo caso è il primo brano del set a raggiungere le vette più alte: un brano interamente basato su unico accordo, sostenuto da un vigoroso vamp suonato con la mano sinistra. La platea è ipnotizzata e Jarrett stesso ne rimane conquistato. “Alla fine del primo tempo ero contento e avrei voluto smettere li” dice Jarrett al pubblico con un sorriso sincero “ma se lo avessi fatto, non avrei suonato ‘questo’”.  

Tra blues, gospel e cadenze bachiane, il secondo set sviluppa una valanga di idee musicali, per concludersi con un brano melodico basato su elementi pop. La sequenza di accordi suonata da Jarrett richiama le armonie di alcune canzoni dei Beatles, mentre i fraseggi della mano destra ci portano alla mente la chitarra elettrica di Eric Clapton, in quello che appare come un omaggio alla cultura musicale della capitale britannica.

I miracoli continuano al momento dei bis. Jarrett si irrita per lo scatto di un flash ma invece di abbandonare il palco (come è avvenuto in molte occasioni), sfoga la sua rabbia sul pianoforte, suonando un violento brano atonale, seguito da una ballad. Tornato ancora sul palco si schermisce, dicendo di avere ormai “suonato il suo intero repertorio”, quasi chiedendo aiuto al pubblico per trovare ispirazione. E quando una voce dalla platea urla “Danny Boy”, Jarrett soddisfa la richiesta, come aveva fatto già a Dublino pochi giorni prima. È una versione struggente, piú lenta e rarefatta del solito, quasi solenne. Jarrett suona pianissimo, evitando di imbellire la melodia, mentre il pubblico ascolta in religioso silenzio, prima di tributargli un’autentica ovazione.

C’è spazio ancora per un ultimo blues prima di mettere la parola fine a quella che è stata una serata memorabile.  Assistito da uno Steinway perfetto, davanti a un pubblico di 2,500 persone tra i quali molti musicisti, Jarrett ha dato vita, ancora una volta, ad una performance assolutamente straordinaria.

Francesco Ragni

Londra, 11/2015