Tra tutti i locali della capitale, il 606 Club è quello più vicino al nostro ideale di jazz club. Situato in un basement nella parte meno nobile di Chelsea, il club di Lots Road è un locale nel quale da oltre trent’anni, è la musica a farla da padrona. Non a caso il proprietario, Steve Rubie, è anche lui un musicista. Non mancano bar e ristorante, necessari per fare quadrare i conti, ma l‘impressione è che passino in secondo piano rispetto a quello che succede sul palco. Sensazione difficile da provare in altri jazz club più blasonati.
La policy del 606 Club è quella di supportare la scena musicale britannica facendo suonare esclusivamente musicisti locali. Ma questo non significa che i musicisti devono essere britannici, anzi, il club ospita continuamente jazzisti basati a Londra ma arrivati da tutto il mondo. Tra loro, la presenza italiana è significativa.

Il nome più noto è quello di Antonio Forcione, chitarrista e compositore di grande talento e originalità. Molisano di origine, londinese dal 1983, Forcione ha costruito a Londra una carriera di tutto rispetto, con alla spalle decine di album e di collaborazioni prestigiose (quanti musicisti italiani possono dire di avere inciso in duo con Charlie Haden?). Al 606 lo abbiamo ascoltato lo scorso marzo in un bellissimo concerto dedicato alle musiche di Pino Daniele (di cui pubblicheremo presto una review), con una all-italian band. Già in programma un suo ritorno al club a fine anno, in duo con la cantante Sarah Jane Morris.
Sempre a marzo, sul palco del 606 Club, è stato il turno di un quartetto dal DNA quasi interamente italiano. Il chitarrista inglese Jim Mullen, ex membro della Average White Band, era affiancato dal pianista Julian Mazzariello, nato in Inghilterra ma di origine italiana, dal batterista Enzo Zirilli, anche lui basato a Londra, e dal bassista salernitano Dario Deidda. Insieme hanno presentato l’album “Lifestories”, registrato nella città di Buccino in Campania, con una serie di brani scelti tra quelli preferiti da ciascun membro della band. Ne è uscita fuori una selezione molto personale e originale, da Morricone a Sting, passando per Django Reinhardt.
È un expat anche il batterista Davide Giovannini, che al 606 Club è presente spesso, sia come sideman che come leader. Lo scorso 1 giugno Giovannini ha guidato una band internazionale proponendo un set di musiche ispirate alla regione brasiliana del Minas Gervais, terra di origine di musicisti come Toninho Horta e Milton Nascimento. Un progetto che è diventato anche un disco, dal titolo “Mina’s Project”.

La presenza italiana al 606 Club continua nelle prossime settimane: Domenica 5 luglio è il turno della vocalist Irene Serra, in scena all’1.30pm, per la serie “Lunchtime Special”. Irene Serra ha iniziato gli studi musicali a Milano con Tiziana Ghiglioni per poi completarli in Inghilterra, con un Master in Jazz Studies alla Guildhall School of Music and Drama. A Londra, Serra si è già esibita nei maggiori jazz club della capitale, dal Ronnie Scott al The Forge, e sarà in scena anche nel corso del prossimo London Jazz Festival.

Mercoledi 8 luglio, è di scena il contrabbassista Davide Mantovani con il gruppo “By The Way”, da lui creato insieme al pianista Ivano Borgazzi. Attivo sulla scena musicale di Londra dal 1991, Mantovani è un contrabbassista eclettico capace di suonare dal jazz al soul-pop (è il bassista della cantante Lisa Stansfield). Nel gruppo che si esibirà al 606, oltre al batterista Davide Giovannini, spicca la presenza del sassofonista americano Michael Rosen. Se Mantovani è nato in Italia per poi stabilirsi a Londra, Rosen è nato e cresciuto anche musicalmente a New York, suonando con artisti come Bobby McFerrin e Jim Hall, ma ha scelto di vivere a Roma.
Storie opposte ma simili. Come tanti di noi, anche i jazzisti cercano di trovare l’ambiente più fertile per sviluppare la loro attività. Molti ci provano a Londra, competitiva ma ricettiva, altri a Parigi (come ad esempio Giovanni Mirabassi), qualcuno, come Rosen, lo ha fatto a Roma. Dimostrazione, qualora ce ne fosse bisogno, che il jazz è un autentico esperanto, capace di travalicare confini nazionali e culture diverse.
Francesco Ragni
Londra, 4/7/2015