Come previsto alla vigilia, il Brexit Party di Nigel Farage ha stravinto le elezioni europee in UK, affermandosi come la prima forza del paese. Ma i risultati del voto nel Regno Unito dicono che i britannici nel complesso hanno dato più voti alle forze pro-Remain che a quelle pro-Leave.
A livello di singole liste la vittoria del Brexit Party è indiscussa. Il partito pro-Leave ha raccolto il 38% delle preferenze guadagnando 28 seggi [i dati sono ancora provvisori e potrebbero cambiare]. Un risultato impressionante se si considera che il partito è stato fondato appena quattro mesi e la campagna elettorale è stata brevissima. In un paese stremato dalla telenovela Brexit il carisma e la proposta chiara di Farage sono stati sufficiente a catalizzare milioni di voti, la maggior parte dei quali provenienti da elettori Tories frustrati.
Seconda forza sono i Lib Dem con il 20.3%, un risultato superiore alle già ottimistiche previsioni della vigilia. Alla precedenti europee, per dare un’idea, il partito aveva raccolto meno del 7%. Chi ha votato Lib Dem lo ha fatto per rimanere in Europa, scrive il Guardian che li definisce “emotional winners”. Non a caso, sono il primo partito a Londra, roccaforte del Remain. Buon risultato anche per i Green (12.1%), Scottish National Party e Cymru, tutti schierati nettamente a favore di un secondo referendum per restare in Europa.
Sia i Tories che i Labour escono con le ossa rotte. Il partito di governo raccoglie appena il 9% dei voti, posizionandosi al quinto posto, una vera debacle. I laburisti perdono meno, attestandosi attorno al 14%, terza forza del paese dopo Brexit Party e Lib Dem. La colpa dei due partiti, per gli elettori, è chiara: non essere stati capaci di “deliverare” la Brexit (nel caso dei Tory) o di prendere una posizione netta (Labour), e non avere mai proposto chiaramente la possibilità di un secondo voto popolare.
Ma se queste elezioni sono state di fatto un secondo referendum sulla Brexit, cosa ha detto veramente il paese? Secondo l’analisi del Guardian, nel complesso i voti pro-Remain sono piú di quelli a favore di una hard Brexit. Escludendo gli incerti Tory e Labour (23.4% in totale), le forze che intendono rimanere in Europa (Lib Dem, Green, Change UK, Plaid) hanno raccolto il 38% dei voti mentre le due forze pro-Leave (Brexit Party e UK-IP) sono ferme al 36.8%.
I dati finali potranno essere leggermente diversi (lo spoglio è ancora in corso), ma una cosa è chiara: come un organismo affetto dal cancro, il Regno Unito oggi è divorato dalla Brexit e non riesce a pensare ad altro. Tre anni di incertezze e di giochi politici hanno trasformato, forse per sempre, il sistema di valori personali e di attenzione ai temi politici che ha tradizionalmente guidato i britannici nella scelta del voto.
Nel 1991 Bill Clinton vinse le elezioni presidenziali US contro George Bush usando il mantra “It’s the economy, stupid”. Un messaggio chiaro per un paese che faticava a uscire dalla recessione e non voleva piú saperne di conflitti in Medio Oriente. Nel Regno Unito del 2019, il messaggio non poteva che essere “It’s Brexit, stupid”. Chi non ha saputo (o voluto) chiarire la sua posizione agli elettori oggi ne paga le conseguenze.
Nota: i dati sono ancora provvisori. Articolo soggetto ad aggiornamento
Foto: Facebook/Brexit Party