UK e Brexit, un amore per la pasta dal retrogusto amaro

Il Regno Unito è il secondo maggior importatore di pasta dall'Italia e l'uscita dall'UE potrebbe far lievitare i prezzi fino al 20%

UK e Brexit, un amore per la pasta dal retrogusto amaro

 

La sempre maggiore passione per la cucina italiana, e in particolare per la pasta, potrebbe costare molto cara all’UK dopo la scelta di uscire dall’Unione Europea.

Il Regno Unito è il secondo importatore di pasta al mondo dopo la Germania e nel corso del 2016 ha fatto arrivare sugli scaffali dei supermercati e nei piatti di migliaia di ristoranti ben 264 mila tonnellate di pacchi di pasta. Una fetta non indifferente delle 3.2 milioni di tonnellate che l’Italia produce e vende ogni anno oltre confini.

Il Regno Unito è proprio uno dei mercati emergenti per questo tipo di ingrediente, da quando cioè i britannici si sono sempre più avvicinati alle cucine straniere, eleggendo quella italiana tra le migliori in assoluto.

Non a caso il consumo medio di pasta in UK è in crescita, ad oggi si attesta sui 3,5 chilogrammi pro capite all’anno; bazzecole se messo a confronto con i 28 chilogrammi dell’italiano medio. Ma il gap, di conoscenza soprattutto, si sta sempre più riducendo.

Una ricerca di alcuni anni fa aveva fatto emergere che gli unici formati conosciuti dagli inglesi erano spaghetti, linguine, conchiglie, fusilli, farfalle, lasagne, cannelloni, tagliatelle e tortellini quando, si sa, ne esistono almeno un altro centinaio. Ma già oggi le tipologie di pasta reperibili sono molte di più, sia presso le grandi catene che negli off-licence, alcuni dei quali specializzatisi proprio in prodotti italiani dove è possibile trovare anche paste gluten-free, per minestre e altri formati tipici di ricette regionali.

Inoltre l’offerta per gli inglesi non è più limitata solo ai brand italiani maggiormente conosciuti come Barilla, Buitoni e De Cecco ma anche ad altri più di nicchia come Rummo e Garofalo. Questo sta a significare come nella vita di tutti i giorni tra le mura domestiche il Regno Unito si stia aprendo sempre di più alla cultura culinaria italiana e non solo in occasione di pranzi e cene nei ristoranti.

Tutto, però, sta avvenendo in un momento storico particolarissimo dettato dalla Brexit, e quel piatto di bucatini all’amatriciana potrebbe avere un retrogusto molto amaro se l’UK non correrà ai ripari nell’immediato. L’allarme è stato lanciato da Food Drink Europe, organizzazione europea con sede a Bruxelles che unisce i maggiori produttori alimentari del Vecchio continente.

Tanto per avere un quadro della situazione, il comparto agroalimentare dell’Unione Europea è tra i più grandi al mondo: fattura più di 1 trilione di euro l’anno e interessa più di 4 milioni di posti di lavoro. Il Regno Unito ha un ruolo chiave: gli altri 27 Stati membri esportano in UK alimenti per circa 31 miliardi di euro l’anno, e importano sempre dall’UK prodotti lavorati in ambito alimentare per circa 13 miliardi. La differenza si aggira sui 18 miliardi che potrebbe aumentare considerevolmente, a sfavore del Regno Unito, in considerazione proprio delle ripercussioni che la Brexit potrebbe creare nel breve medio termine.

Uno dei primi prodotti a subire il rincaro sarà proprio la pasta che potrebbe costare fino al 20% in più che, tradotto in valori assoluti, se ad oggi un pacco da mezzo chilo costa in media £1.50 dopo la Brexit potrebbe arrivare a £1.80.

Un aumento che andrebbe a ricadere sul consumatore finale rendendo quel piatto di pasta così indigesto al pari di una spolverata di parmigiano sopra a linguine e vongole.