Da Trump ai Tories ribelli, la soft Brexit di Theresa May è appesa a un filo

Nonostante il rimpasto di governo, i problemi maggiori che il Primo Ministro deve affrontare sono nel proprio partito

Da Trump ai Tories ribelli, la soft Brexit di Theresa May è appesa a un filo

 

La calda estate di Londra non è solo legata al meteo, ma anche alle fatiche di Theresa May nel portare a compimento la missione Brexit. Far quadrare i conti con l’Unione europea e la sua stessa maggioranza a Westminster è ogni giorno più difficile.

Un momento di temporaneo sollievo per il primo ministro dopo tanto tempo è arrivato dal Parlamento lunedì 16 luglio. Il governo ha accolto gli emendamenti presentati dagli euroscettici guidati da Jacob Rees Mogg, per modificare i futuri rapporti commerciali tra Regno Unito e Unione europea. Secondo May, questi non comprometteranno l’accordo raggiunto a Chequers il 6 luglio per una soft Brexit (sopravvivenza dell’area di libero scambio delle merci, limitando solo il movimento dei cittadini europei). Un emendamento fa ad esempio riferimento all’esenzione per il Regno Unito dalle tasse sui prodotti importati dagli Stati dell’Unione. Ma è una magra consolazione per i brexiteers piú estremi come lo stesso Rees Moog e i dimissionari Johnson e Davis, vera spina al fianco della May.

Non è stato d’aiuto Donald Trump nella sua breve visita della settimana scorsa. In un’intervista al Sun il presidente degli Stati Uniti ha criticato fortemente le scelte di May, minacciando di rinunciare a ogni accordo bilaterale fra Usa e Gran Bretagna e suggerendo al governo inglese di far causa a Bruxelles piuttosto che negoziare. Il giorno seguente, sempre nell’arco della sua visita a Londra, ha fatto marcia indietro di fronte ai giornalisti, non mancando però di lanciare un’altra frecciata alla May indicando l’ex ministro Johnson come un potenziale ottimo leader di governo.

Passata la bufera Trump, e con l’Europa che appare pronta a chiudere un deal sulla base della proposta delineata nell’accordo di Chequers,  i veri problemi per Theresa May rimangono in casa. Tra i Tories, molti parlamentari rimangono scettici sulle scelte del Primo Ministro, considerato debole e troppo incline ai compromessi. L’ex ministra per l’educazione dei conservatori Justine Greening, remainer sin dal primo momento, ha lanciato un’idea estrema: «Non possiamo davvero credere che Bruxelles accetti l’accordo raggiunto a Chequers Court e modificato dagli emendamenti appena approvati. L’unica alternativa possibile è un nuovo referendum sulla Brexit, questa volta per far scegliere agli elettori, sulla base delle preferenze, fra tre opzioni: l’accordo di Chequers, un non accordo con l’Unione europea oppure il “remain” integrale, lasciando tutto come prima del 23 giugno 2016».  La May ha reagito minacciando di andare nuovamente alle urne a breve. “Datemi supporto o indirò nuove elezioni” ha fatto sapere ai suoi parlamentari alla vigilia dell’ultimo voto in Parlamento, scrive il Times. Una minaccia quasi disperata per la May, considerando il risultato disastroso dell’ultima tornata, quando perse la maggioranza assoluta, invece di consolidarla.

La ribellione dei Tories continua a covare e potrebbe esplodere da un momento all’altro. La sopravvivenza della May, e dalla soft Brexit da lei disegnata, rimane appesa a un filo.