Permettere agli studenti di fare maggiore esperienza pagata e allo stesso tempo compensare in parte la carenza di lavoratori. Questo il piano del governo di Rishi Sunak in corso di analisi e riservato ai 680mila studenti extra UK attualmente presenti nel Regno Unito.
Ad oggi il regolamento prevede che gli iscritti alle università possano svolgere intership pagati all’interno delle aziende per un massimo di 20 ore settimanale, proprio per preservare il visto ottenuto per motivi di studio e non trasformarlo in un visto lavorativo. Downing Street sta invece pensando di ampliare il tetto a massimo 30 ore settimanali, di fatto offrendo maggiore opportunità di lavoro, e guadagno, agli stessi studenti, e cercando allo stesso tempo di venire incontro alle richieste di personale che ormai da mesi giungono da tutti i settori del paese.
Inoltre, sempre secondo Sunak e i suoi ministri, se questa proposta dovesse passare alla fase pratica, si potrebbe in qualche maniera anche sbloccare la fuga degli studenti europei. Dal post Brexit, ormai più di due anni fa, sono letteralmente dimezzati per via della scelta del governo di adeguare al rialzo la rette a carico degli studenti provenienti dagli Stati membri UE, equiparate ora a quella degli studenti stranieri extracomunitari. Si tratta di un livello assai più alto rispetto alle tariffe politiche, identiche a quelle dei cittadini britannici, accordate loro fino al 2019. Qui un nostro articolo in merito.
Anche se i dati dell’UCAS – Universities and Colleges Admission Service, rimarcano peraltro come nel complesso il numero generale degli studenti iscritti negli atenei britannici continui a crescere: di un ulteriore 2% su base annua. E come l’emorragia di arrivi dall’Ue sia in effetti compensata dall’incremento sia delle iscrizioni di giovani di altri Paesi esteri (Cina in primis, ma anche India o Usa, concentrate soprattutto nei corsi post graduate), sia di quelle interne dei britannici.
La proposta di aumentare il tetto ore settimanali da 20 a 30 ore a loro dedicate potrebbe dare una ulteriore spinta al mondo universitario britannico, ma le perplessità di certo non mancano. Trenta ore lavorative a settimana sono 6 ore al giorno, un bell’impegno se si pensa che lo studente deve comunque dedicare parte della sua giornata allo studio. E, poi, se l’idea è di compensare in parte la carenza di manodopera, quanti saranno gli studenti disposti a fare i camerieri nei ristoranti o a lavorare negli alberghi, essendo l’hospitality il settore più colpito, insieme a quello agricolo dove mancano i lavoratori stagionali per la raccolta di frutta e verdura, della sanità e del trasporto merci.
Come anticipato, per il momento si tratta di una idea che deve superare diverse fasi di organizzazione burocratica che interessa vari ministeri, dato che si andrebbero a scontrare tre grandi ambiti, quello del lavoro, dello studio e dell’immigrazione.
Molte università hanno comunque commentato positivamente il piano, considerato favorevole per gli studenti stranieri alle prese con la crisi del costo della vita e per i rettori che sperano di aumentare il numero di studenti stranieri. Altre, invece, si sono dette perplesse soprattutto perché non credono che le troppe ore di lavoro possano far bene alla crescita culturale dello studente, il quale potrebbe essere distratto da attività che non hanno nulla a che fare con il suo percorso.