Da studente a regista, 55 anni dopo Marco Bellocchio torna a Londra

Intervista al celebre direttore cinematografico in occasione della rassegna che il British Film Institute gli dedica in questo mese di luglio

Da studente a regista, 55 anni dopo Marco Bellocchio torna a Londra

 

Marco Bellocchio torna a Londra, non da studente ma da regista affermato. Cinquantacinque anni dopo essersi diplomato al Centro Sperimentale di Roma e aver frequentato un corso alla Slade School of Fine Arts, è protagonista di una retrospettiva a lui dedicata ospitata al BFI, Il British Film Institute, per altro nello stesso luogo dove l’appena ventenne Bellocchio andava a guardare film alimentando la sua passione per il grande schermo.

La sala è sempre la stessa con questo grande schermo, che all’epoca era davvero enorme. Ma ora è tutto più tecnologico e comodo”, racconta il regista incontrato poche ore prima di salire sul palco di Londra durante la presentazione della rassegna “Satira e moralità: il cinema di Marco Bellocchio” che andrà avanti per tutto il mese di luglio.

Lei giunse a Londra da studente in cui emergevano band del calibro dei Beatles e Rolling Stones, e in Italia stava per prendere il via il Sessantotto. Crede che l’aver frequentato la capitale inglese in quel momento storico, abbia influenzato il suo cinema?
Non avrei mai immaginato quello sconvolgimento culturale, sociale e politico che avrebbe poi interessato l’intero mondo da lì a poco. Non metto in dubbio che scrivendo il mio primo film “Pugni in tasca” (1965) indirettamente ho subito questo fermento che c’era attorno a me, questo desiderio di ribellione e rivoluzione che si respirava a Londra in quel momento storico e che ha poi condizionato la carriera anche negli anni a seguire.

Perché la scelta di Londra?
Volevo “sprovincializzarmi”, nonostante venissi da Roma, grande città come tutti sanno. Ma in me c’era un forte desiderio di confrontarmi con altre culture, soprattutto quella inglese, non semplicemente leggendole o vedendole attraverso la tv, ma vivendole in prima persona. Da qui la scelta di venire a Londra per un periodo, per migliorare il mio inglese, che per altro ho poi perso nel corso degli anni, per frequentare la Slade School e per incontrare un signore affabile e gentile che rispondeva al nome di Thorold Dickinson, un regista al quale devo molto perché mi ha aperto davvero la mente. Qui, in questo clima londinese, scrissi proprio “Pugni in tasca”.

Marco Bellocchio a Londra in occasione della rassegna a lui dedicata

Ha iniziato gli studi nel 1960 al Centro Sperimentale di Londra, prima il corso da attore, poi quello di regista. Nel corso della sua carriera non le è mai venuto il desiderio di passare davanti alla cineprese, anziché essere sempre dietro?
Fu proprio Andrea Camilleri, che era mio professore al centro Sperimentale, che mi consiglio di lasciare il corso da attore e passare a quello di regista. Diceva che il mio atteggiamento verso il recitare era troppo timido, non era esibizionistico nel senso positivo del termine. Mi disse espressamente “il tuo tono di voce non va bene, è troppo vero, non è da attore”. Ammetto che negli anni a seguire una sorta di tentazione mi è venuta, soddisfatta con piccole apparizioni. Ma mi rendo conto che l’attore si deve strutturare, anche psicologicamente, ed è un lavoro che non fa per me.

Nel 1972 dirisse il film “Sbatti il mostro in prima pagina” trattando la manipolazione delle informazioni, quelle che oggi definiremmo “fake news”. Avrebbe mai immaginato che la sua pellicola sarebbe poi tornata di estrema attualità quarant’anni dopo?
In quel tempo la manipolazione dell’informazione era più in ambito politico, una sorta di politicizzazione per creare nell’opinione pubblica una paura, o mostro, da tenere a debita distanza. Ammetto che oggi la tecnica è sempre la stessa, ma si è estesa su ampia scala rispetto a quella che trattai io nel film: politica e non solo. E la cosa mi fa davvero paura, soprattutto pensare che in  molti non sappiano riconoscere la finzione volutamente creata attorno a un fatto.

Siamo sempre abituati a parlare di cinema americano, asiatico, africano, ma mai di cinema europeo. Pensa che in un futuro esisterà qualcosa che possa accomunare l’Italia, la Francia, la Spagna e gli altri paesi membri dal punto di vista cinematografica, o le singole tradizioni sono così forti da non riuscire a convergere tra loro?
Il cinema Europeo esiste nella misura dei trattati, degli accordi tra Stati membri, ma le singole nazioni continuano a mantenere una propria originalità che si tramuta in una sorta di marchio nazionale che non permette di unificarsi con gli altri. Ecco perché sarà difficile, se non impossibile, parlare di cinema europeo quando trattiamo quest’artea al suo stato puro. Unica eccezione potrebbe essere l’Inghilterra che, soprattutto noi italiani, tendiamo sempre ad accomunare con l’America per via della lingua.

Passando invece all’Italia, come è lo stato di salute del nostro cinema?
Direi buono. Grazie ai nuovi fondi messi a disposizione e alle nuove tecnologie sono aumentate le produzioni nel corso dell’anno, addirittura si è arrivati a produrre serie televisive al pari di film per il grande schermo. Ai miei tempi tutto questo era impensabile: passavano anni da una produzione all’altra.

Non crede però che tutto questo porti a un’assuefazione da parte del pubblico? Il compito del cinema è di creare dibattito. Con decine e decine di film che vengono rilasciati nel corso di un anno, lo spettatore assume un ruolo passivo non avendo più il tempo di ragionare.
E’ vero, ma c’è da sottolineare che tutte le produzioni non sono simili tra loro, anche come obiettivo finale. Molti di questi film non vengono visti da nessuno, valgono però per chi li ha fatti perché è una esperienza obbligatoria per chi vuol intraprendere questo mestiere.

Il suo nuovo lavoro sarà sulla figura del pentito di mafia Tommaso Buscetta interpretato da Pierfrancesco Favino, ci può offrire qualche anticipazione?
Mi interessa il personaggio di Tommaso Buscetta perché è un traditore. Il traditore potrebbe essere il titolo del film. Ma in verità, chi ha veramente tradito i principi di Cosa Nostra, non è stato Buscetta ma sono stati Totò Riina e i Corleonesi. Come si vede, due modi diversi di tradire che vorrei affrontare in questo mio nuovo lavoro.

Rassegna “Satira e moralità: il cinema di Marco Bellocchio” organizzato da BFI, Istituto Luce Cinecittà Roma, Istituto Italiano di Cultura di Londra, con il supporto del Ciné Lumière di South Kensington. Di seguito il sito internet ufficiale per conoscere la programmazione Ciné Lumière.