Essere au-pair in Inghilterra: rischio o opportunità?

 

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foto: www.aupair-world.co.uk

 

Oggi il modo più diffuso tra i giovani per arrivare in Inghilterra è quello di trovare lavoro come au pair. Secondo il Daily Mail ce ne sono addirittura 90.000 nel Regno Unito. Il ragazzo (o ragazza) “alla pari” ha la possibilità di immergersi in un nuovo contesto linguistico e culturale, vivendo a casa di una famiglia residente in Gran Bretagna, che garantisce all’ospite vitto, alloggio e una piccola retribuzione settimanale, il cosiddetto pocket money, che generalmente viene usata dal ragazzo per pagarsi un corso di inglese.

Spesso tuttavia questo tipo di esperienza si rivela molto distante dalle aspettative iniziali e i ragazzi, che decidono di andare a vivere nella stessa casa dei datori di lavoro, si trovano di fronte a numerosi problemi.

La redazione di londraitalia.com ha deciso di farsi un’idea più precisa del fenomeno, raccontando le testimonianze di due ragazzi, un italiano e una spagnola, che lavorano come au pair in due cittadine poco fuori Londra (i nomi sono stati cambiati).

 

Lorenzo, 25 anni, italiano, ha lavorato come au pair in una famiglia a Hemel Hempstead, una cittadina a nord-ovest di Londra.  Lorenzo doveva prendersi cura di tre bambini, due femmine di 14 e 7 anni e un maschio di 12, con una paga di £85 per 25 ore a settimana.  “All’inizio pensavo che potesse essere una grande opportunità per imparare l’inglese in maniera semplice e veloce, ma poi ho visto che non è tutto oro quel che luccica…”.

La sistemazione di Lorenzo risultava essere totalmente priva di privacy e il lavoro giornaliero abbastanza duro: “Non pensavo che bisognasse fare due ore di pulizie al giorno, tutti i giorni. Poi quando ho scoperto che il segnale del wi-fi non arrivava nella mia stanza – internet era l’unico modo per comunicare con i miei cari – ho cominciato ad avere qualche dubbio sulla bontà della mia scelta di fare l’au pair”.

C’erano anche diverse difficoltà nei rapporti personali. “La mia padrona di casa, Louise, era stressata e nervosa tutti i giorni, e spesso gridava con me perché non era soddisfatta del mio lavoro. Inoltre non ero libero di mangiare ciò che volevo, visto che la maggior parte della roba che stava in frigo era per i bambini”.

“Spesso mi sentivo un estraneo in quella casa e non mi sentivo affatto trattato bene. Pensavo che non piacessi affatto alla mia datrice di lavoro e mi sentivo più un uomo delle pulizie che un au pair, visto che per quasi metà delle mie ore di lavoro facevo le pulizie”.

Ci sono stati però anche degli aspetti positivi relativi a questo tipo di esperienza. “Adoravo giocare con i bambini, e soprattutto sono rimasto molto contento delle relazioni che ho stretto con i ragazzi che frequentavano con me un corso d’inglese all’Oaklands College. Uscivamo tutti i fine settimana e ovviamente parlavamo sempre in inglese, esercizio molto utile per migliorare il nostro livello di speaking”.

Cosa consiglieresti ad un tuo coetaneo che vuole fare la tua stessa esperienza? “Gli direi di prestare molta attenzione alla famiglia che trova, discutendo a priori con questa ogni piccolo dettaglio relativo al tipo di au pair che la famiglia ospitante cerca. E comunque ritengo che questa esperienza non debba superare i 12 mesi”.

 

Un altro parere relativo all’esperienza da au pair ci giunge da Nuria, spagnola di 38 anni, che ha vissuto a Sant Albans, lavorando in una famiglia per metà inglese e per metà spagnola.

Sulla scelta di intraprendere un’esperienza del genere nonostante l’età fosse superiore ai trent’anni, Nuria ha ammesso: “Avrei dovuto fare l’au pair 15 anni fa, e ci sono due grosse ragioni per cui la mia età, secondo me, può costituire un grosso problema”:

La prima è la mancanza di privacy. “Qui in Inghilterra non ho la mia indipendenza. Prima, in Spagna, vivevo da sola in un appartamento nel mio paese ma sono stata costretta ad affittarlo a causa della crisi economica e soprattutto della difficoltà che ho riscontrato nel trovare lavoro”.

La seconda ragione e’ legata alle differenze culturali. “Come au pair mi devo prendere cura dei bambini di un’altra famiglia e devo sempre tentare di educarli secondo gli stessi principi con cui sono cresciuta io”;

Aldilà delle oggettive difficoltà che si affrontano per una donna over 30 Nuria trova comunque dei lati positivi nell’essere un au pair: “Innanzitutto vieni pagata, anche se per le responsabilità quotidiane che hai, penso che il salario dovrebbe essere maggiore. Infatti ogni giorno, devi prenderti cura dei bambini, devi pulire tutta la casa, devi aiutare i bambini quando fanno i compiti, devi giocare con loro, devi comprare loro da mangiare”.

Nuria sottolinea l’importanza di seguire un corso di lingua e conoscere altre persone quando si lavora come au pair: “Per me seguire un corso di inglese è fondamentale. Si ha molto più facilmente la possibilità di conoscere ragazzi da tutte le parti del mondo. Io ho conosciuto persone provenienti dalla Repubblica Ceca, dall’Ungheria, Italia, Danimarca, Sud Africa, Nuova Zelanda e poi molto spesso crei un tessuto di rapporti e di amicizie molto emozionanti con la maggior parte di loro. Spesso conoscere nuove persone ti aiuta anche a cambiare le tue aspettative”.

Quando abbiamo chiesto a Nuria se nonostante l’età e il resto, consiglierebbe questo tipo di esperienza ad una sua coetanea, lei ha risposto così: “Io consiglio questo tipo di lavoro. Per me è stato un percorso di arricchimento e un’esperienza positiva su molti livelli. Sono molto contenta delle persone che ho conosciuto e di quello che ho imparato durante l’anno in cui sono stata un au pair”.

 

Nonostante i pareri e le differenti esperienze collezionate dai ragazzi, fare l’au pair nel Regno Unito, costituisce sicuramente una grossa opportunità per imparare l’inglese in maniera sicuramente economica e vivere un’esperienza formativa. Resta il fatto che, bisogna fare molta attenzione quando si entra in contatto con le famiglie, prima di accettare la posizione di au pair. A volte chiarire un aspetto che può apparire marginale o fare una domanda che si crede banale quando si fa l’intervista con la famiglia ospitante può determinare in modo molto profondo la qualità dell’esperienza che si andrà a fare. Inoltre una buona dose di fortuna in questi casi è sempre ben accetta.

 

L’autore di questo articolo è Marcello Mormino