“È finita un’epoca” titolava il Guardian il 21 giugno, quando è apparso chiaro che House of Fraser era sull’orlo del collasso.
La catena di grandi magazzini aveva appena annunciato l’intenzione di chiudere 31 dei suoi 59 negozi in Gran Bretagna, incluso quello più iconico, un intero palazzo a Oxford Street, Londra, e mandare a spasso più di 6000 dipendenti.
Il forte ridimensionamento, per quanto doloroso, sembrava l’unica strada per salvare uno dei più antichi grandi magazzini del paese, fondato a Glasgow nel 1849 come Arthur and Fraser e poi diventato un simbolo del business britannico.
Salvarne il marchio, non la britishness – quella è volata via nel 1985, quando la catena fu acquisita dalla famiglia Al Fayed.
Dal 2014 la proprietà è cinese e i problemi sono cresciuti fino a diventare ingestibili.
Problemi di cassa e di sostenibilità del business, con affitti sempre più alti e la concorrenza fatale dello shopping online, con il suo impatto su tutto il modello di business dell’high street retail, il commercio al dettaglio.
Venerdì il gruppo ha avviato le procedure di amministrazione controllata ed è emerso che i debiti con i quasi 1000 creditori ammontano alla cifra monstre di 753 milioni di sterline.
Soldi dovuti a banche e investitori ma anche a grossi brand della moda o del beauty come Ralph Lauren, Mulberry, Phase Eight, L’Oreal – e ora si teme un effetto a catena sul settore.
Soldi dovuti, anche, ai piccoli acquirenti in attesa di ricevere i loro ordini. In una mossa drammatica, il 16 agosto la società ha disattivato gli acquisti online, oscurando il sito, e avviato il rimborso di milioni di sterline in ordini già piazzati.
Una decisione resa inevitabile, dopo che molti clienti si erano lamentati di non aver ricevuto i loro acquisti.
Questo perché XPO Logistics, la società che gestisce i depositi e gli ordini, ha interrotto le consegne per mancati pagamenti. Ha un credito di 30 milioni di sterline.
Un buco nero di cui si potrebbe non vedere il fondo. Sempre venerdì, meno di due ore dopo l’avvio delle procedure fallimentari, quel che resta della catena è stata acquisito da Sports Direct per soli 90 milioni d sterline.
Non si è fatto sfuggire l’occasione il boss dell’abbigliamento sportivo Mike Ashley, che ha fatto un affare anche se in cambio ha dovuto garantire il salvataggio, almeno per il momento, dei 16mila posti di lavoro.
Ora la nuova proprietà deve risolvere le molte dispute legali in corso. La prima è proprio con XPO, che ha negato ai manager di Sports Direct accesso ai magazzini e sempre aver rifiutato le condizioni contrattuali offerte dai nuovi manager.
Non solo: Sports Direct non ha alcun obbligo legale di pagare i debiti pregressi, anche se Ashley sembra intenzionato a coprirne almeno una parte, per garantirsi buoni rapporti con i fornitori.
I 90 milioni della compravendita sono già stati interamente destinati a compensare, almeno in parte, banche e obbligazionisti.