
MILANO – Gli dei del tempo non sono stati clementi con Expo. Dopo un’attesa durata sette anni, la manifestazione milanese ha preso il via venerdì mattina nel polo di Rho-Pero. La cerimonia inaugurale, con il presidente del Consiglio Matteo Renzi e un parterre che comprendeva anche Romano Prodi, Mario Monti e Giorgio Napolitano, è stata rovinata dal maltempo. Non è stata lunga né pesante: tra gli interventi, quello del Papa – collegato in diretta da Roma – e quello dello stesso premier, perfettamente a suo agio nel fare gli onori di casa. Il colpo da maestro è stato l’omaggio all’ex sindaco di Milano Letizia Moratti, ignorata da Giuliano Pisapia. “L’Expo è stata una sua intuizione” ha ricordato. Noblesse oblige.
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L’impressione è che valga la pena di visitarlo, questo Expo. Si è cercato un filo conduttore – il tema dell’alimentazione – in grado di far esprimere tutti: la povertà resta una brutta bestia, ma è sorprendente quello che si può scoprire esplorando gli allestimenti.
Palazzo Italia è ben fatto: quattro piani che mettono in risalto la differenza tra la Penisola e il resto del mondo, quella bellezza diffusa – lo aveva capito Paolo Sorrentino – che all’estero funziona tanto bene. Il percorso si dipana in un gioco di specchi e rimandi tra monumenti e scorci dello Stivale.
Tra le sorprese, il Messico, con un allestimento coloratissimo, e il Marocco. In equilibro tra chimica e cucina il padiglione della Russia, decisamente coinvolgente quello di Israele. Tra i peggiori si colloca il Regno Unito. Gli allestitori di Sua Maestà hanno deciso di ispirarsi alle api e costruire un gigantesco alveare metallico. Il risultato è mediocre e lascia l’idea che sarebbe stato meglio dedicarsi al porridge.
Cibo buono ma caro, come è ovvio, pioggia anche sotto i capannoni e la classica difficoltà a trovare le informazioni; ma quello che conta è che la macchina sia partita.
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Sullo sfondo restano la corruzione e la criminalità organizzata, ma non solo: dopo aver ammirato la festa, c’è da chiedersi cosa accadrà quando su Expo sarà calato il sipario. Che fine faranno i ragazzi che ad ottobre potrebbero tornare disoccupati; come vivranno i milanesi sfrattati che hanno visto spuntare grattacieli e condomini di lusso; quale futuro per chi non arriva a fine mese. E’ la parte non violenta della protesta, quella che si domanda con che logica certi brand multinazionali siano partner di un’esposizione dedicata alla diversità. Non può essere ignorata tout court per colpa – o grazie – ai black bloc.
Antonio Piemontese
1 maggio 2015